L'attività artistica di Jürgen
Reble nasce nel contesto di quell'ultima ondata del cinema sperimentale
tedesco che ha avuto luogo all'inizio degli anni Ottanta (1).
Dal 1984 ad oggi i suoi film, installazioni e performance hanno
sviluppato un percorso che incrocia diverse linee di ricerca nell'ambito
della sperimentazione cinematografica e più in generale
delle arti visive. L'originalità e l'importanza del suo
contributo è da tempo riconosciuta, come attesta la sua
partecipazione sia a importanti festival di cinema e nuovi media
che a manifestazioni organizzate da prestigiosi musei di arte
contemporanea. L'attuale crisi e l'oscuramento del cinema sperimentale,
in buona parte dovute all'egemonia delle arti visive elettroniche,
hanno determinato tuttavia la paradossale mancanza di un'adeguata
riflessione critica sulla sua opera che con questo testo si cerca
di stimolare fornendo alcune possibili e sommarie coordinate di
riferimento.
Uno dei primi filoni di ricerca nei quali si inserisce il suo
lavoro è il cosiddetto found footage, letteralmente
"pellicola trovata", termine derivato dall'object
trouvé surrealista, e con il quale ci si riferisce
a opere realizzate a partire da materiale preesistente di diversa
provenienza, sia in pellicola che in video, rielaborato secondo
un'ampia gamma di procedimenti e finalità artistiche (2).
Soprattutto i primi film di Reble, quelli prodotti con il gruppo
Schmelzdahin, presentano evidenti caratteri comuni a questo genere
di lavori, principalmente l'utilizzo di diverse tecniche di montaggio
volte a smantellare la narrazione tipica di un cinema inteso come
rappresentazione naturalistica della realtà. Non a caso
è questo il gruppo di opere nelle quali Reble fa maggiormente
ricorso a frammenti di film di finzione o tenta di costruire forme
di narrazione alternative come in Der General (1987). L'originalità
di questa sua prima fase potrebbe essere espressa sottolineando
come questi film non siano soltanto pellicole "trovate",
ma anche pellicole "abbandonate": all'azione degli agenti
batterici, come nel caso di Stadt in Flammen (1984), nato
da un vecchio B-movie sotterrato per sei mesi nel giardino di
Reble; delle alghe, che si depositano su un film a soggetto mitologico
lasciato per un anno in uno stagno, dando vita ad Aus den Algen
(1986); o ancora degli agenti atmosferici, come avviene ai tanti
spezzoni di pellicola appesi per anni agli alberi dello stesso
giardino, fra i quali Zillertal, un vecchio trailer che verrà
prima usato per una performance e successivamente stampato come
film nel 1997. Le modificazioni manifestate da queste pellicole
"ritrovate" vengono integrate in questi film con il
lavoro di montaggio e costituiscono la base di partenza di quel
lavoro sull'emulsione che verrà sviluppato nelle opere
successive.
Passion (1989), il primo film firmato individualmente,
nasce come tentativo di una personale rappresentazione della natura
e come diario della nascita e crescita del suo primo figlio, le
cui riprese sono montate cronologicamente a ritroso per finire
con le immagini del parto e di una sorta di rito di couvage
compiuto dall'autore che termina con l'apertura di un riquadro
su una parete, uno schermo buio sul quale egli si affaccia e attraversa.
Se il finale iscrive il film nella tradizione del film mitopoietico,
inaugurata da Jean Cocteau con il suo Le Sang d'un poète
(1930), e sviluppata negli Stati Uniti da Maya Deren, Gregory
Marcopulos e Kenneth Anger, la cui figura di regista mago queste
immagini richiamano, è l'opera di Stan Brakhage quella
che meglio può servire a comprenderlo (3). L'immagine della
natura offerta da Rebel è infatti fortemente trasfigurata,
proprio come quella del cosiddetto periodo lyrical di Brakhage,
che utilizzava come materiale di partenza dei suoi film le riprese
della natura attorno alla sua abitazione e dei componenti della
sua famiglia. Mentre il processo creativo di trasfigurazione avveniva
in Brakhage prevalentemente intervenendo in fase di ripresa e
con un montaggio sul girato, Reble lavora in tal senso sul processo
di sviluppo della pellicola e con un montaggio che attinge alla
storia del cinema, sia di finzione che documentario. Le riprese
della natura che in Brakhage diventavano metafore della visione,
approdano così in Reble a un'esplorazione della natura
del cinema. Uno strumento di analisi comparativa dell'estetica
dei due artisti, che qui ci si limita soltanto a suggerire, è
offerto fra l'altro proprio dai film di Brakhage girati in occasione
della nascita dei suoi numerosi figli.
Il successivo Das Goldene Tor (1992) presenta la struttura
di un documentario, sul modello della Melodie der Welt
(1929) di Walter Ruttmann, diviso in parti da didascalie che introducono
una serie di riprese in luoghi pubblici: giardini, zoo, stazioni
ferroviarie, luna park, strade trafficate. L'intervento sull'emulsione
sembra essere utilizzato, come già nei precedenti film,
in una duplice direzione. Per un verso esso produce un effetto
antinaturalistico e di straniamento, come a ricordarci che ciò
che stiamo guardando non è la realtà, ma soltanto
la sua immagine, analogamente a come la sovversione del cosiddetto
montaggio invisibile del cinema narrativo classico doveva servire
a impedire processi di identificazione compensatoria con gli attori.
D'altra parte esso sembra assolvere una funzione emotiva e drammatica,
soprattutto quando, simultaneamente, la distruzione delle sequenze
narrative crea nuove unità associative: la lenta processione
di pinguini che come ombre attraversano lo schermo sovrapposti
all'immagine in disfacimento di una città che scorre a
velocità accellerata, la sequenza in cui l'immagine dei
pattinatori sul ghiaccio sembra fondersi e lasciare gli uomini
a muoversi sul fondo del fiume circondati dai pesci, o ancora
la folla dei bagnanti che si ritrova a nuotare in un inferno di
fiamme. È presente nei film di Reble una tensione che sembra
farci saltare continuamente fuori e dentro lo schermo, un effetto
che potrebbe essere interpretato come il senso di quel passaggio
che il titolo del film sta a indicare. "La finzione è
necessaria, affinché le immagini possano toccarci. I documentari
riguardano sempre solo gli altri" è un'affermazione
di Godard che sembra non solo cogliere il senso dell'operazione
compiuta qui da Reble, ma anche un aspetto del suo lavoro che
lo distingue da analoghe ricerche compiute sugli aspetti materiali
del dispositivo cinematografico. "Desidero abbandonare l'imitazione
e l'illusione e affrontare il dramma della celluloide la natura
dell'emulsione e della perforazione. Se si parte dalla realtà
della retina, dei meccanismi di proiezione, si possono creare
forme di un movimento reale e catturare reali spazi di colore
e di tempo (4)" è una dichiarazione di Paul Sharits,
uno degli artisti più rappresentativi del cinema strutturalista,
che basta confrontare con le dichiarazioni di Reble contenute
nel suo testo programmatico Alchimia del colore per comprendere
facilmente il suo debito nei confronti delle fondamentali ricerche
dello stesso Sharits o di Birgit e Wilhelm Hein, per citare due
autori a lui più vicini geograficamente (5). È tuttavia
assente nel lavoro di Reble quell'aspetto riduttivamente concettuale,
puristico e didattico che è stato spesso rimproverato al
cinema strutturale, forse a torto nel caso dei suoi iniziatori,
certamente a ragione per gran parte dei lavori successivi mossisi
in questa direzione, non da ultimo proprio in Germania.
L'incontro con il musicista e compositore Thomas Köner segna
un altro passaggio cruciale nell'opera di Reble, una cui adeguata
valutazione va collocata sullo sfondo degli stretti rapporti fra
musica e cinema sperimentale, che proprio in Germania segnano
la nascita della prima avanguardia cinematografica e della stessa
arte astratta (6). Le comuni riflessioni e progetti di Kandisky
e Schönberg, rivolti ad un cinema anti naturalistico che
avrebbero dovuto prendere a modello la musica, saranno seguiti
a breve dal cinema puro e dalla musica visiva di Richter, Rutmann
e Fishinger, accomunate dall'intento di affrancare il cinema dalle
sue indebite influenze teatrali e letterarie. Il nazismo bandirà
come arte degenerata il cinema astratto e Richter e Fishinger
emigreranno per proseguire le loro ricerche negli Stati Uniti.
Nella casa di Fishinger, John Whitney, che aveva studiato composizione
in Europa, conoscerà Schönberg e con il fratello James
tenterà nei primi anni Quaranta di comporre immagini in
movimento con i procedimenti della musica dodecafonica, in quella
che sarà la prima tappa di una loro ricerca sul rapporto
fra suono e immagine che arriverà sino ai light-shows psichedelici
degli anni Sessanta. La musica dodecafonica costituisce anche
una delle maggiori fonti d'ispirazione dell'austriaco Peter Kubelka,
i cui film sono considerati come i primi esempi di cinema strutturalista.
Esaminiamo ora la specificità del lavoro di Reble e Köner.
La ricerca musicale di Köner trascura completamente gli aspetti
medodici e ritmici per concentrarsi sul timbro, la qualità
del suono più legata alla materialità della sorgente
sonora, ciò che permette ad esempio di distinguere suoni
di altezza e intensità identica prodotti da strumenti diversi.
Gran parte dei suoi lavori sono realizzati lavorando su singoli
suoni di gong fatti vibrare sott'acqua, un suono scelto proprio
per sua estrema ricchezza timbrica. Reble dal canto suo è
andato via via concentrando il suo lavoro sull'aspetto più
materiale dell'immagine, l'emulsione della pellicola sulla quale
essa risiede. Musica visiva ha significato nel corso della sua
ormai lunga storia la trasposizione di rapporti melodici, armonici
e ritmici in immagine attraverso articolazioni di tempo e spazio
che, dalle sinfonie visive di Ruttmann al flicker minimalistico
di Kubelka, hanno visto una gamma di soluzioni ricchissima, a
fronte della quale il flusso delle immagini di Reble in un film
come Instabile Materie (1995) appare molto povero, sia
nel suo sviluppo temporale che nei rapporti compositivi interni
all'inquadratura, eppure dotato tanto di una propria originalità
che di una ricchezza innegabile. Già in Das goldene
Tor (1992) la musica di Köner aveva sostituito il collage
sonoro che accompagnava i precedenti lavori di Reble, contribuendo
a conferire alle immagini quel complesso carattere di estraniamento
e di visionarità onirica di cui si è detto. In Instabile
Materie suono e immagini sembrano invece procedere uniti.
L'immagine ha perso qui ogni aspetto rappresentativo e figurativo
e si dipana come il flusso continuo di una superficie di colore
a tutto schermo, interrotto regolarmente da lunghe pause di buio,
come se le didascalie usate in alcune opere precedenti si fossero
ammutolite, e dall'emergere a tratti delle forme, più o
meno riconoscibili, di alcuni oggetti originariamente impressi
sulla pellicola, non più immagini collocate in uno spazio
prospettico illusionistico, ma traccie simili a fossili o pitture
rupestri. È difficile trovare un equivalente di questo
lavoro, sia nel cinema che nelle arti figurative. È assente
qui, per citare alcune opere che potrebbero ricordarlo, quel rimando
alla gestualità che caratterizza l'action painting né
d'altra parte le opere dell'informale materico presentano quell'effetto
di profondità luminosa creata qui dal gioco della luce
sul materiale dell'emulsione. Può essere utile tuttavia
un confronto con la produzione di Brakhage della prima metà
degli anni Novanta (7), realizzata dipingendo direttamente sulla
pellicola. In alcuni di questi film, muti come la maggior parte
della sua produzione, Brakhage nei titoli di testa attribuisce
a sé stesso il ruolo di compositore e a Sam Bush, che lo
ha assistito al lavoro con la stampante ottica, quello di musicista
visivo. Anche qui abbiamo uno scorrere informe di colori, a volte
squarciato dall'emergere di forme vagamente riconoscibili, con
un risultato a volte molto simile a quello di Reble Le immagini
possiedono tuttavia un ritmo e una qualità luminosa completamente
diversi, quelle di Brakhage sono un succedersi di lampi di colore
e di luce e le figure che ci sembra di riconoscere appaiono più
simili a fantasmi o proiezioni mentali, mentre in Reble sembra
di osservare le continue manifestazioni di una superficie materiale,
con effetti a tratti più illusori di quelli di Brakhage.
Instabile Materie termina con l'unica immagine realistica
di tutto il film: mentre il suono dei gong sottomarini di Köner
si trasforma in un coro di voci femminili, in un rosso cupo emerge
il volto di una bambina che osserva seria uno schermo in fiamme,
abbassa e solleva nuovamente lo sguardo.
È in alcune delle sue performance e installazioni che Reble
porta tuttavia a maturazione i frutti del suo lavoro. Alchemie
(1992), Sysiphus (1992) e Das galaktische Zentrum
(1994) presentano ai loro spettatori la simultanea formazione
e distruzione di immagini che esistono solo in quell'unico momento.
È un radicale confronto con quell'aspetto del cinema che
ne ha fatto l'emblema dell'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità
tecnica, ma anche con quel connubio di tempo reale e infinita
capacità di conservazione e riproduzione che caratterizza
televisione e computer. Il carattere meditativo di tali opere
sottolineato da Reble va inteso nel senso che esse costringono
lo spettatore a un'attenzione interamente rivolta a un "qui
e ora" così diverso da quello che collega tutti gli
schermi del mondo in qualsiasi momento, mantenendoci però
allo stesso tempo di fronte, o in mezzo, ad una realtà
così illusoria ed emotivamente carica come quella del cinema.
Anche questi lavori non nascono ovviamente dal nulla. George Landow,
uno dei padri del cinema strutturale, mostrava già nel
suo stupendo Bardo Follies (1967) l'immagine di una scena
turistica ripetersi a ciclo continuo mentre la pellicola si disfa
fino a lasciare lo schermo bianco. Ciò che in questo film
era tuttavia soltanto rappresentato, negli ultimi tre lavori citati
di Reble avviene realmente, non possiamo riavvolgere la bobina
e guardarlo di nuovo. Rispetto alle analoghe performance cinematografiche
dei lettristi o del gruppo Fluxus (8), si pensi ad esempio a Zen
for film (1962) di Paik, che proiettava sullo schermo l'immagine
di una pellicola trasparente, è assente in Reble tanto
un intento trasgressivo o un approccio concettuale che sarebbe
ingenuo o noioso voler replicare oggi. Utile risulta infine un
raffronto con le prime manifestazioni del cinema espanso o dei
light-show degli anni Settanta, vale a dire la serie di proiezioni/concerti
intitolata "Vortex", realizzate dal regista Norman Belson
assieme al compositore Henry Jacobs presso il Morrison Planetarium
di San Francisco negli ultimi anni Cinquanta. Sulla cupola del
planetario Belson proiettava, arrivando a utilizzare 70 proiettori,
i propri film "cosmici" ispirati alle visioni delle
proprie meditazioni e realizzati attraverso complesse apparecchiature
da lui elaborate. Al planetario, ambientazione spesso usata per
manifestazioni di cinema espanso anche in Europa, luogo simbolo
di un'epoca rivolta al futuro, fiduciosa nella tecnica e nel progresso,
Reble contrappone oggi un'area industriale dismessa, come nel
caso dell'allestimento di Das galaktische Zentrum a Verona
(9) nel 1994, uno spazio sospeso fra il passato di un'epoca, la
cosiddetta società industriale, in fase di smantellamento,
e il futuro virtuale di new economy e globalizzazione. Le immagini
di mondi inesistenti che si formano e disfano sulla cupola di
quell'edificio sotto la lenta azione di un processo di cui lo
spettatore non vedrà la fine ma sà che distruggrà
inesorabilente il meccanismo che lo anima, scatenano come poche
altre due dei più forti fantasmi che abitano i nostri sogni:
lo spettacolo della fine del mondo e la fine del mondo dello spettacolo.
1. Vedi M. Farano e A. Fornuto (a cura di), Cinema sperimentale tedesco dagli anni Sessanta agli anni Ottanta, Pervisione,1994.
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2. Vedi C. Hausheer e C. Settele, Found Footage Film, Zyklop Verlag, 1992.
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3. Sulle diverse tendenze del cinema sperimentale americano citate vedi S. Brakhage, Metafore della visione, Feltrinelli, 1970; A. Leonardi, Occhio mio dio, Feltrinelli 1971; R. Milani, Il cinema underground americano, D'Anna, 1978; A. Aprà (a cura di), New American Cinema, Ubulibri, 1986; D. E. James, Allegories of Cinema, Princeton University Press, 1989.
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4. Dal catalogo del Festival di cinema sperimentale di Knokke-Le-Zout, 1967.
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5. Per una trattazione del cinema sperimentale comprensiva delle esperienze europee vedi B. Hein, Film im Underground, 1971, Verlag Ullstein, 1971; B. Hein e W. Herzogenrath, Film als Film, Kölnische Kunstverein, 1978; I. Petzke, Das Experimentalfilm Handbuch, Filmmuseum Frankfurt a.M., 1989.
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6. Vedi S. Lawder, Il cinema cubista, Costa & Nolan, 1983; H. Daxl, Musik des Lichts. Zur Geschichte der klingenden Bilder im Experimentalfilm, in I. Petzke, cit.
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7. Vedi ad esempio Ephemeral Solidity (1993) o Chartres Series (1994).
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8. Sul cinema lettrista vedi P. Ferrua, Avanguardia cinematografica lettrista, Tracce, 1985; su quello del gruppo Fluxus vedi B. Hein e W. Herzogenrath, cit.
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9. Vedi A. Fornuto e M. Farano, Lo spettacolo della fine del mondo e la fine del mondo dello spettacolo, in Catalogo della mostra "Locomotiva cosmica", Ex Magazzini Generali, 23-31 giugno 1994, Interzona, Verona.
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